Come hanno fatto i nostri antenati a colonizzare isole completamente deserte e senza mezzi di sostentamento?
Le Maldive: 1.190 isole coralline, divise in 26 atolli, la cui origine geologica risale a circa 60 milioni di anni fa, quando dal fondo dell’Oceano Indiano affiorarono inzialmente montagne vulcaniche a causa di un’intensa attività vulcanica sottomarina. Attorno ad esse cominciarono a strutturarsi formazioni coralline che – a seguito dei fenomeni di subsidienza (leggi L’ORIGINE GEOLOGICA) diedero poi vita agli atolli. Solo 200 isole sono abitate dalla popolazione locale, oltre un centinaio sono state date in concessione per la realizzazione e gestione di resort, il resto sono disabitate.
Le origini della popolazione maldiviana sono incerte e gli attuali studi etnografici si basano prevalentemente sulla verifica di miti e leggende. Secondo il Ministry of Arts, Culture and Heritage maldiviano (il ministero della Cultura), i primi navigatori che avviarono il processo di colonizzazione delle isole sbarcarono attorno al 1.700 a.C. nell’arcipelago più a Nord e più prossimo ad India e Sri Lanka: l’atollo di Haa Alifu e più precisamente sull’isola di Utheemu, oggi considerata l’isola sacra. Provenivano – secondo i documenti custoditi al Ministero della Cultura – dalla punta meridionale dell’India ed erano di religione buddista. Il primo dato si basa su valutazioni probabilistiche, il secondo invece è certo. Questo insediamento iniziale si ampliò e da Utheemu partì un lento e difficile processo di colonizzazione che rese necessario creare nicchie culturali per piegare la forte pressione selettiva di un ambiente ostile all’antropizzazione. I primi colonizzatori utilizzarono tutto il loro sapere e la loro cultura in materia di sopravvivenza in ambienti difficilissimi come le isole deserte, per poter superare le dure prove a cui erano sottoposti da un ambiente ostile, cioè l’isola deserta, priva di acqua dolce, con scarse disponibilità alimentari (salvo quelle offerte dal mare e dalla natura, come le noci di cocco).
Uthemu, l’isola sacra delle Maldive, ripresa dall’alto. Guarda il video.
Come sopravvivere su lingue di sabbia in mezzo all’oceano
Quando nel V e VI secolo gli arabi impiantarono nell’atollo di Male un importante punto di scalo marittimo lungo le rotte commerciali verso l’oriente, convertendo le popolazioni locali all’Islam (attualmente le Maldive sono uno stato Islamico), le Maldive erano ormai già parzialmente abitate: piccoli villaggi di pescatori, basati sull’autarchia. La pressione selettiva dell’ambiente era dunque stata piegata dalla cultura della sopravvivenza.
Ma come è stato possibile sopravvivere su lingue di sabbia con poche palme? E trasferirsi da un’isola all’altra, lungo i duemila km totali dell’intero arcipelago, colonizzando di volta in volta una nuova isola? Le condizioni ambientali che i primi coloni si sono trovati di fronte erano sostanzialmente queste: suolo non fertile in quanto composto in superficie quasi esclusivamente da sabbia corallina, nessuna sorgente di acqua dolce (ve ne sono attualmente un paio nell’atollo di Haa Alifu e si tratta di acqua salmastra), nessun riparo naturale dal sole salvo l’ombra delle palme. Uniche fonti alimentari: noci di cocco e pesce in abbondanza. Le testimonianze raccolte ad Utheemu, l’isola sacra, attestano che furono immediatamente adottate dai coloni due soluzioni per la sopravvivenza: l’utilizzo del cocco e dell’acqua piovana, come base per idratarsi e nutrirsi. Pertanto, decisero di colonizzare le isole durante la stagione monsonica (luglio-settembre), caratterizzata da piogge abbondanti, che fornivano appunto acqua potabile. La pioggia veniva raccolta in ampie buche scavate nel terreno e ricoperte di foglie per impermeabilizzarle. Per quanto concerne il cocco, va evidenziato che le noci viaggiano per miglia e miglia galleggiando nell’oceano, sospinte dalle correnti e dal vento. Giunsero sulle prime spiagge delle isole Maldiviane (quelle a Nord) dall’India, dopo aver attraversato il tratto di oceano che separa gli atolli dal sub-continente indiano. Insomma, la noce di cocco è un autentico colonizzatore primario e approdando sulle spiagge maldiviane trovò un ambiente favorevole allo sviluppo di piccole ma assai produttive foreste di palma da cocco (cocco nucifera). Cocco e acqua piovana, quindi, furono le prime 2 condizioni che consentirono l’immediata sopravvivenza dei coloni. A ciò si aggiunse poi la pesca grazie all’abbondanza di pesce. Una volta avviato il metodo di sopravvivenza sulla prima isola, le comunità cominciarono a spostarsi sulle altre isole, applicando il medesimo modus operandi.